di Patti Smith
Feltrinelli, Milano, 2010; 293 pagine, 19 euro.
A soli diciotto anni, nell'estate del '67, Patti Smith abbandona il New Jersey e, con un biglietto di sola andata, raggiunge New York: ”Nessuno mi stava aspettando. Ma mi aspettava ogni cosa”, racconta. In una città tanto grande s'imbatte due volte, per caso, in uno studente d'arte della sua stessa età, Robert Mapplethorpe. “Come se fosse la cosa più naturale del mondo restammo assieme senza più separarci”. Per campare lei lavora in una libreria e lui fa il vetrinista, oppure il traslocatore, oppure niente. Entrambi sognano un destino da artisti, anche se ignorano ancora come. Patti disegna e scrive poesie, influenzata dalle sue mille ottocentesche letture; Robert scava dentro se stesso, smonta e rimonta frattaglie, dipinge. Non ha mai preso una macchina fotografica in mano. “Nulla è finito finché non lo vedi tu”, dice a Patti delle sue opere. E pure: “Nessuno vede come noi”, quando le avversità di ogni giorno minano la consapevolezza del loro talento. A furia di scavare Robert si scopre omosessuale, ma lui e Patti non smettono mai di amarsi, capirsi e aiutarsi. A costo di sacrifici da Bohème e di cocciute intuizioni, faticosamente ottengono quello che sognano.
Già lo sappiamo dalle discografie e dai libri di storia dell'arte: dopo le prime, fortunate letture per pochi intimi, Patti Smith pubblica due libri di poesie e ha l'idea di unire i suoi versi alla musica. Nel 1975 monta il Patti Smith Group, registra l'album Horses e diventa una rockstar – la poetessa del rock, come la chiamavano qui da noi; dopo quattro album, un successo prestatole da Bruce Springsteen e due memorabili e controversi concerti italiani nel 1980 mette su famiglia e per sei anni si ritira in campagna. Tornata sulle scene a pieno ritmo, oggi è un riconosciuto mito del rock 'n' roll. Quanto al fotografo Robert Mapplethorpe, assieme ai graffitari Keith Haring e Jean-Michel Basquiat viene ricordato come uno dei più importanti artisti del suo tempo, e perciò del nostro. Delle sue foto in bianco e nero di nudi espliciti e di atti sessuali estremi e incensurati si parla con gli aggettivi plastici usati per descrivere le sculture di Michelangelo. Nel 1989 è morto per AIDS.
Just Kids è il racconto della lunga storia d’amore e di amicizia fra Patti e Robert. Soprattutto prima della fama, quando entravano uno alla volta al Whitney Museum per risparmiare e poi si convincevano che, un giorno, pure loro avrebbero esposto lì. Due ragazzini apparentemente senz’arte né parte diventati grandissimi assieme: qualcosa di magico, se ci pensate. Fin dall’inizio condividono un patto di protezione: “Il presupposto era che uno di noi restasse sempre all’erta, tutto qui. Se io ero giù, lui doveva stare su. Se uno dei due era malato, l’altro doveva rimanere in salute.” Pagina dopo pagina, la forza di questo patto e l’eternità del loro legame arriva diretta a noi. Ancorché non inedito, lo sfondo del racconto è irresistibile: Patti e Robert che vanno ad abitare al Chelsea Hotel, il rifugio degli artisti della città, e che s'intrufolano al Max's Kansas City, il locale bazzicato dalla corte di Andy Warhol. E’ la New York “vera, sfuggente e sessuale” che era apparsa a Patti appena arrivata. Ma anche la città delle opportunità: quando Patti fa incontri casuali, si chiamano Jimi Hendrix o Allen Ginsberg; alle sue letture assiste William Burroughs e, se ha altre storie, le ha con Sam Shepard o Todd Rundgren. Il suo è un racconto struggente, dove sembra non esistere il male. Patti ha la virtù di trovare il lato lirico in tutte le persone che incontra, e il motore epico in tutte le situazioni che si è trovata a vivere, anche le più squallide. Uno si ricorda i lenzuoli di parole in libertà con i quali affollava le buste interne dei suoi ellepì e un po’ si stupisce della sua attuale, urbana capacità di sintesi. Faccio un esempio. La sua vita è costellata di lutti e di tragedie: prima di partire per New York diede in adozione una propria bimba, come la protagonista di Juno; oltre a Mapplethorpe, in questi anni le sono morti un fratello e il marito, il musicista Fred Sonic Smith. Patti è una donna coraggiosa, che non ha mai avuto paura dei gesti e delle parole: nel 1979 a Bologna si beccò qualche (meritato) fischio perché, in pieno concerto, mise su un nastro con la voce di Papa Luciani. Dedica un libro intero al suo amico del cuore e del marito parla poco, per forza di cose. Ma sentite come, nel finale, si fa gioco in tre righe delle nostre gelosie supponenti, e di tutti gli involuti e ragionati biglietti d'auguri che in carriera siamo stati capaci di scrivere: Di colui che sarebbe diventato mio marito desidero soltanto dire che era un re tra gli uomini, e che gli uomini conoscevano chi era. Biblica. (il P.)
Patti Smith e Robert Mapplethorpe
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