Casa degli Atellani. Courtesy by Fondazione Portaluppi

mercoledì 30 giugno 2010

Recensione del giorno

Acciaio
di Silvia Avallone

Rizzoli, Milano, 2010 - 357 pagine; 18 euro


Una storia dura, luccicante, duttile proprio come l’acciaio. L’amicizia tra le tredicenni Anna e Francesca è la chiave con la quale Silvia Avallone ci fa entrare nel microcosmo di via Stalingrado a Piombino: una brutta periferia fatta di casermoni, violenza domestica, afa e puzza che fa da sfondo a questo racconto di formazione. I personaggi prendono vita a poco a poco intrecciando le loro esistenze a quella della Lucchini, l’immensa e immobile fabbrica che domina i loro orizzonti e condiziona i loro sogni sbuffando neri fumi dalla bocca di Afo 4. Qui tutto è una brutta copia del mondo: c’è la spiaggia ma è una discarica, c’è il mare ma puzza, ci sono le canzoni ma arrivano storpiate dalle casse di un vecchio stereo e anche i gattini sono storpi. La fuga è possibile ma il prezzo da pagare è alto. Si scende a patti con tutto: prostituzione, malavita, rapine e solitudine. Quando si sentirà l’odore di libertà, questo avrà il profumo dell’isola d’Elba. Da leggere. (p.f.)



booktrailer

martedì 29 giugno 2010

Recensione del giorno

Teste
di Giuseppe Genna
Mondadori, Milano, 2009 - 384 pagine; 18 euro.

Milano. Si parte dall’idroscalo. Superficie ghiacciata che nasconde una testa mozzata e il corpo di uno scivolato, forse, imprudente, forse, pensionato. Decollamenti e complotti vari per l'ispettore Mario Lopez, che sempre lavora al quarto piano della questura di via Fatebenefratelli. La solita trama gialla, il solito poliziotto e sempre, su tutto, i Servizi Segreti. Ovvio: letteratura di genere. Ancora più ovvio: Genna non è Ellroy.
Però, fin dall’inizio, il lettore trova delle parti corsivate: introducono ogni capitolo e tanto sembrano dei flussi di coscienza. Questi pensieri in divagazione sono il punto a favore del libro. Sono le parti che vengono saltate quando si ha sonno e sono le stesse che si vanno a rileggere quando le indagini annoiano o quando il libro è già finito. Scopriremo solo alla fine chi parla, proprio quando non ci sarà più nessun interesse per il mistero criminoso e per le sorti del caro Lopez, forse all’ultima fatica.


intervista a Genna

martedì 22 giugno 2010

Recensione del giorno

Just Kids
di Patti Smith
Feltrinelli, Milano, 2010; 293 pagine, 19 euro.

A soli diciotto anni, nell'estate del '67, Patti Smith abbandona il New Jersey e, con un biglietto di sola andata, raggiunge New York: ”Nessuno mi stava aspettando. Ma mi aspettava ogni cosa”, racconta. In una città tanto grande s'imbatte due volte, per caso, in uno studente d'arte della sua stessa età, Robert Mapplethorpe. “Come se fosse la cosa più naturale del mondo restammo assieme senza più separarci”. Per campare lei lavora in una libreria e lui fa il vetrinista, oppure il traslocatore, oppure niente. Entrambi sognano un destino da artisti, anche se ignorano ancora come. Patti disegna e scrive poesie, influenzata dalle sue mille ottocentesche letture; Robert scava dentro se stesso, smonta e rimonta frattaglie, dipinge. Non ha mai preso una macchina fotografica in mano. “Nulla è finito finché non lo vedi tu”, dice a Patti delle sue opere. E pure: “Nessuno vede come noi”, quando le avversità di ogni giorno minano la consapevolezza del loro talento. A furia di scavare Robert si scopre omosessuale, ma lui e Patti non smettono mai di amarsi, capirsi e aiutarsi. A costo di sacrifici da Bohème e di cocciute intuizioni, faticosamente ottengono quello che sognano.
Già lo sappiamo dalle discografie e dai libri di storia dell'arte: dopo le prime, fortunate letture per pochi intimi, Patti Smith pubblica due libri di poesie e ha l'idea di unire i suoi versi alla musica. Nel 1975 monta il Patti Smith Group, registra l'album Horses e diventa una rockstar – la poetessa del rock, come la chiamavano qui da noi; dopo quattro album, un successo prestatole da Bruce Springsteen e due memorabili e controversi concerti italiani nel 1980 mette su famiglia e per sei anni si ritira in campagna. Tornata sulle scene a pieno ritmo, oggi è un riconosciuto mito del rock 'n' roll. Quanto al fotografo Robert Mapplethorpe, assieme ai graffitari Keith Haring e Jean-Michel Basquiat viene ricordato come uno dei più importanti artisti del suo tempo, e perciò del nostro. Delle sue foto in bianco e nero di nudi espliciti e di atti sessuali estremi e incensurati si parla con gli aggettivi plastici usati per descrivere le sculture di Michelangelo. Nel 1989 è morto per AIDS.
Just Kids è il racconto della lunga storia d’amore e di amicizia fra Patti e Robert. Soprattutto prima della fama, quando entravano uno alla volta al Whitney Museum per risparmiare e poi si convincevano che, un giorno, pure loro avrebbero esposto lì. Due ragazzini apparentemente senz’arte né parte diventati grandissimi assieme: qualcosa di magico, se ci pensate. Fin dall’inizio condividono un patto di protezione: “Il presupposto era che uno di noi restasse sempre all’erta, tutto qui. Se io ero giù, lui doveva stare su. Se uno dei due era malato, l’altro doveva rimanere in salute.” Pagina dopo pagina, la forza di questo patto e l’eternità del loro legame arriva diretta a noi. Ancorché non inedito, lo sfondo del racconto è irresistibile: Patti e Robert che vanno ad abitare al Chelsea Hotel, il rifugio degli artisti della città, e che s'intrufolano al Max's Kansas City, il locale bazzicato dalla corte di Andy Warhol. E’ la New York “vera, sfuggente e sessuale” che era apparsa a Patti appena arrivata. Ma anche la città delle opportunità: quando Patti fa incontri casuali, si chiamano Jimi Hendrix o Allen Ginsberg; alle sue letture assiste William Burroughs e, se ha altre storie, le ha con Sam Shepard o Todd Rundgren. Il suo è un racconto struggente, dove sembra non esistere il male. Patti ha la virtù di trovare il lato lirico in tutte le persone che incontra, e il motore epico in tutte le situazioni che si è trovata a vivere, anche le più squallide. Uno si ricorda i lenzuoli di parole in libertà con i quali affollava le buste interne dei suoi ellepì e un po’ si stupisce della sua attuale, urbana capacità di sintesi. Faccio un esempio. La sua vita è costellata di lutti e di tragedie: prima di partire per New York diede in adozione una propria bimba, come la protagonista di Juno; oltre a Mapplethorpe, in questi anni le sono morti un fratello e il marito, il musicista Fred Sonic Smith. Patti è una donna coraggiosa, che non ha mai avuto paura dei gesti e delle parole: nel 1979 a Bologna si beccò qualche (meritato) fischio perché, in pieno concerto, mise su un nastro con la voce di Papa Luciani. Dedica un libro intero al suo amico del cuore e del marito parla poco, per forza di cose. Ma sentite come, nel finale, si fa gioco in tre righe delle nostre gelosie supponenti, e di tutti gli involuti e ragionati biglietti d'auguri che in carriera siamo stati capaci di scrivere: Di colui che sarebbe diventato mio marito desidero soltanto dire che era un re tra gli uomini, e che gli uomini conoscevano chi era. Biblica. (il P.)

Patti Smith e Robert Mapplethorpe

lunedì 14 giugno 2010

Recensione del giorno

Un giorno di gloria per Miss Pettigrew
di Winifred watson

Neri Pozza, Milano, 2008 - 214 pagine; 15 euro


Un romanzo delicato, dall’umorismo sottile. La storia si snoda a quadri scanditi dallo scorrere del tempo di una giornata particolare per la scialba istitutrice Miss Pettigrew che si muove nei palazzi chic della Londra bene anni ’30 in cerca di lavoro. E’ una donna in tono minore: i suoi vestiti, i suoi capelli, la sua faccia sono segnati dall’usura, dal tempo e dai sacrifici. La sua vita è corsa via, anno dopo anno, tra un incarico e l’altro, senza mai lasciarle il tempo di viverla davvero. Miss Pettigrew si è limitata guardare gli altri vivere, osservandone i dettagli e analizzandone le psicologie. E così, quando si trova per un caso fortuito ad avere a che fare con gente dell’alta società, sa esattamente come comportarsi. Certo, ci vorranno trucco e abiti eleganti per renderla accettabile ai nobilastri ma il suo acume e il suo umorismo faranno il resto.
Il finale è doppio: avrà la sua opportunità da cogliere al volo, l’amore che si presenta all’improvviso alla soglia dei 50 anni. Ma è anche la dimostrazione che più di tanto il salto sociale non si può fare: nonostante simpatia e apprezzamento, le offriranno un lavoro come cameriera. Ritmo e atmosfere da pièce teatrale. (p.f.)

giovedì 10 giugno 2010

Giro di recensioni

I protagonisti di questo Giro di recensioni sono i giovani editori: pionieri coraggiosi alla scoperta di piccole nicchie letterarie ancora poco esplorate. Jacopo Ghilardotti questo mese parla di Barbès, Excelsior1881, Le chiare lettere, Classica e 66thand2nd

giovani editori

Recensione del giorno

Gigi Meroni.
Il ribelle granata
di Marco Peroni e Riccardo Cecchetti
Beccogiallo, Padova, 2010 - 144 pagine; 18 euro

BeccoGiallo edita ottimi rilegati per grandi personaggi. Non è un fumetto, non solo, ci sono testi e tavole illustrate e una storia raccontata a ritroso. Gigi Meroni muore a 24 anni nel 1967. Un talento con la barba, fuori e dentro: vestiti sgargianti e dribbling, galline portate al guinzaglio nelle vie del centro e calzettoni da gioco portati alle caviglie. E tutti i terzini della serie A sdraiati a terra, la Juventus che lo vuole soffiare al Torino operaio, poche presenze in nazionale e una sola donna.
Investito, così muore. Idolo della curva granata, per sempre e naturalmente anticonformista, giovane e bello. Meroni capace d’anticipare non solo il tackle scivolato ma anche la ribellione giovanile del Sessantotto; Gigi umano e sincero protagonista. Non l’ho mai visto giocare, ma so che è morto ragazzo.

giovedì 3 giugno 2010

Recensione del giorno

Daniel Barenboim Fryderyk Chopin
A cura di Carlo Boccadoro e Luca Ciammarughi
Classica, Milano, 2010 - 64 pagine con cd; 19,90 euro.

La registrazione del concerto celebrativo alla Filarmonica di Varsavia di due mesi fa, è l'oggetto musicale prezioso del libro Daniel Barenboim/Fryderyk Chopin. Il volume, della collana Music&Book Gallery si apre con una dettagliata intervista di Carlo Boccadoro: Barenboim ripercorre il suo lungo ma non continuativo rapporto col pianoforte di Chopin («l'ho suonato molto fino agli anni '70, poi ho smesso; ho ricominciato solo qualche anno fa con grandissima passione»), istigato fin da bambino dall'amicizia speciale con Artur Rubinstein, «musicista anti-isterico; questo è un lato della sua personalità artistica che mi è sempre piaciuto». Segue una sezione documentaria in cui i contemporanei (Delacroix, George Sand, Liszt e Schumann) raccontano lo Chopin che conobbero, e scrittori e interpreti storici evocano la figura di artista ancora da svelare: un autore «tanto meno conosciuto, quanto più i suoi esecutori si sforzano di farlo conoscere», diceva Gide. La conclusiva guida all'ascolto di Luca Ciammarughi riporta alla sostanza unica del mondo di Chopin; quelle delle note che, come dice Barenboim, «pretendono che l'esecutore raggiunga una completa unità col pianoforte». (Angelo Foletto, © La Repubblica).

martedì 1 giugno 2010

Recensione del giorno

Educazione siberiana
di Nicolai Lilin

Einaudi, Torino, 2009 - 343 pagine; 20 euro


La Transnistria è un pezzo non riconosciuto. Una regione indipendente, sotto tutela russa, sdraiata sul fianco della Moldavia. Vicino all’Ucraina, sulla sponda sinistra del fiume Nistro. Lì vive una comunità siberiana, una comunità criminale di quaranta famiglie deportate, per volere di Stalin, negli anni ’30. E tra queste c’è la famiglia di Kolima, un giovane Urka di tredici anni che studia e impara da combattente, da fuorilegge.
Educazione siberiana è la storia ricordata di un universo cancellato, di una cultura perduta, fondata sul principio molto discutibile della violenza giusta. Perché i siberiani della Transnistria hanno un codice di comportamento basato sull’esercizio della forza in un contesto sociale senza autorità statali riconosciute, senza legge. Il potere è riconosciuto nella figura degli anziani, i nonni, perché la loro memoria tiene viva la comunità e i loro racconti formano i ragazzi, secondo i valori criminali di una giustizia così alternativa da essere possibile. Una parola potrebbe bastare: mafia. Nicolai Lilin racconta la sua storia tra galera, guerriglia urbana e tatuaggi. Resta un romanzo di formazione: ripetitivo e disorganico.